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Le sfide da vincere per uscire dalla crisi del sistema politico locale

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La recente riflessione sul sistema politico locale e sulle ragioni della sua paralisi merita di essere ripresa. Essa non si rivolge soltanto ai democratici e al loro elettorato disilluso. Tocca senza infingimenti questioni di fondo che riguardano quella vasta area di opinione che ci chiede di rendere più energica e politicamente spendibile l’insofferenza diffusa verso l’amministrazione Moscherini. Sarebbe tuttavia errato ridurla a una polemica personalistica. E’ un ragionamento che chiama in causa i tre principali soggetti della politica locale: i partiti, le coalizioni e ovviamente i leader. Attori politici che si identificano in un ceto amministrativo di lungo corso, ma che hanno conosciuto una radicale trasformazione di ruolo e di funzioni negli ultimi venti anni. L’elezione diretta del sindaco e l’abolizione delle preferenze multiple, introdotte nei primi anni Novanta, hanno concorso a questo mutamento di scenario. La preferenza unica ha sottratto ai partiti quel potere di selezione del ceto amministrativo e di relativo controllo sugli eletti che era prerogativa dei partiti della (non rimpianta) Prima repubblica. Si sono erosi man mano il ruolo di garanzia dei partiti, la loro influenza e la stessa lealtà organizzativa degli eletti. Ogni candidato è indotto ad amministrare il proprio pacchetto di preferenze come una rendita personale da negoziare periodicamente sul mercato elettorale. Non stupisce che la pratica del trasformismo alligni senza troppi pudori proprio fra i ‘giovani di belle speranze’. Qualcuno, in un soprassalto di imbarazzo, sproloquia sulla fine delle ideologie, l’eclisse delle appartenenze e divagazioni sul tema. La verità è assai più prosaica: indipendentemente dai profili anagrafici, è in campo una generazione emersa politicamente dopo l’avvento della Seconda repubblica che concepisce liste, partiti, appartenenze negli stessi termini e con lo stesso grado di lealtà con cui uno di noi può identificarsi nel proprio gestore telefonico. Perché dovrei rimanere con Tim se Wind mi offre un contratto più vantaggioso? Il mio numero (di preferenze) risponde alla logica della portabilità: di cosa vi scandalizzate?
Partiti sempre più deboli, rissosi e privi di legittimità conoscono tuttavia lotte intestine feroci. Vecchia storia. Però questa volta la posta in palio non è la gestione della ‘linea’ ma il puro e semplice accaparramento della sigla per fini che non necessariamente coincidono con quelli generali. E’ il modello del partito in franchising, un partito-logo da usare se e quando serve per garantire ai clienti candidature e carriere. L’elezione diretta del sindaco, d’altronde, ha di fatto spostato il baricentro decisionale dai partiti alle coalizioni, presto trasformatesi in eterogenei partiti del leader di turno. Nella nostra città un sindaco può governare una maggioranza politicamente inesistente, di fatto misconosciuta dai partiti della coalizione (le famose ‘larghe intese’), amministrando il consenso degli eletti in una continua e paralizzante negoziazione di pennacchi e promesse. L’arte di governo ridotta a trattativa fra persone e gruppi di interesse e condita, da noi come nelle sedi nazionali, da un diluvio di annunci privi di esiti concreti, effetti speciali, sproloqui autocelebrativi. La sostanza è la paralisi. Lo scenario non è rassicurante: in questa città ha fatto capolino nell’indifferenza generale persino il pestaggio dei ‘piantagrane’. Manager pubblici pagati dai cittadini contestano all’opposizione persino il diritto-dovere di esercitare il controllo su contestatissime gestioni. L’insofferenza dei pretoriani non ha risparmiato neppure il diritto all’informazione. La dialettica interna ai partiti del sedicente governo locale precipita nell’allusione sibillina, nell’elencazione impietosa di colpe mai denunciate a tempo debito. I leader della destra si scaraventano quotidianamente addosso secchi di letame conditi dall’immancabile mantra autoassolutorio: ‘non possiamo fare la fine del Pd!’. Chi s’accontenta gode!
Sintomi chiari di un fatto: le coalizioni elettorali, dopo aver divelto le radici ideali dei partiti, si rivelano per quel che sono. Meteore elettorali, usa e getta. Fenomeni aleatori pittorescamente denominati nel gioco elettorale dell’acchiappacitrulli. Incapaci di qualunque progettualità, di qualunque idea di un futuro condiviso. Ci si propone di accettare la sfida, di scommettere sulla nostra capacità di ricostruire la politica e, con essa, il senso della cittadinanza. Non si tratta di consumare la freudiana uccisione simbolica del padre. Perché non sarebbe giusto: ogni leadership costituisce una risorsa. Ma anche perché non sarebbe sufficiente. Il cuore della proposta sta altrove. Sta nell’invito a ricostruire percorsi democratici autentici e sanamente meritocratici. Senza camuffare per rinnovamento la promozione non dei migliori, ma dei più fidati. Senza deprimere le ragioni di tutti e, con esse, le residue motivazioni alla militanza. E’ un appello rivolto al Pd perché non si rassegni, perché scommetta su se stesso e su un capitale di fiducia popolare che non riesce a far fruttare. Il Pd sarà davvero una proposta innovativa e vincente se non rimuoverà le ragioni del proprio disagio, se non rinuncerà a indagarle, se saprà legittimarsi come la casa comune di tutti i riformisti. Ci sono tre temi cruciali nel nostro dna, capaci di trasformarsi in concretissimi programmi di governo, in sogni realizzabili. Dobbiamo rivendicare quella filosofia dei diritti, che affonda radici nel pensiero liberaldemocratico ma che è diventata parte costitutiva di quella stessa sinistra che ha saputo affrancarsi dai vecchi dogmatismi. Dobbiamo porre al centro la questione ambientale, che discende dalla cultura ecologista ma rinvia al tema dei beni comuni e della loro intangibilità. E dobbiamo tradurre in pratiche sociali concrete quell’etica della solidarietà che accomuna ispirazione cristiana e tradizione socialista. Non sono opzioni astratte: sono la carne e il sangue di un programma che non è difficile riferire al qui e ora: il diritto di dare parola alla cittadinanza, la tutela intransigente dell’ambiente naturale anche come premessa a un nuovo modello di sviluppo locale, la solidarietà fatta di concrete politiche sociali a favore dei ceti meno abbienti che stanno pagando più di tutti i costi della crisi.

Nicola Porro


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