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Alberto Cardoni 100 anni e non sentirli

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CIVITAVECCHIA – Alberto Cardoni, classe 1908, nato da Ferdinando, civitavecchiese verace e da Ernesta Vannacci, di Zagarolo, entrambi del 1870. Il padre, detto “Cicio”, possedeva una “Caffetteria” in Via Giosue Carducci, nel cuore della città d’allora; Ernesta, invece, era arrivata a Civitavecchia dal paese delle balie seguendo la madre, che aveva il compito di allattare un figlio dei Manzi (produttori dell’omonima e originale Sambuca civitavecchiese). Era l’epoca in cui, regnava Vittorio Emanuele III della Casa Savoia; quando in Vaticano comandava Pio X ed al Governo del paese c’era Giovanni Giolitti; erano gli anni degli scioperi della classe operaia che richiedeva miglioramenti economici; delle prime guerre coloniali, con la conquista dell’Etiopia, dell’Eritrea e della Libia; delle prime sale di proiezioni ed il cinema muto. Ma era anche il tempo delle prime avanguardie fasciste; dei tragici eventi della I° guerra mondiale; con le masse di soldati mandati al macello e la ferrea disciplina del fronte; dei generali raccomandati ed incapaci; della rotta di Caporetto e degli immancabili eroi nazionali. Erano quelli i tempi in cui Alberto, venne alla luce: ultimo di quattro figli; coccolato dai genitori e dai fratelli: dei quali la prima era Elvira, detta Celeste, di ben 16 anni maggiore di lui: magra ossuta, immortale, sempre a piedi per la città e dintorni, che spesso partendo dal centro della città risaliva sin dai parenti a San Liborio; nel pomeriggio, poi, al tempo in cui aveva già 93 anni, per non stare senza far niente, prendeva l’autobus per Santa Marinella e andava ad aiutare una pronipote, che non ce la faceva a seguite i suoi figlioli; il secondo era Renato, il più considerato dei quattro, perchè lavorava presso una nota impresa di sementi della Capitale; abitava in una palazzina residenziale a Centocelle di Roma e si spostava per Roma accompagnato dall’autista; poi, c’era Vivaldo, dipendente doganale, deceduto quando aveva cinquanta anni, gran “spizzicatore” di terra e di mare: il suo tavolo di cucina era sempre coperta di polpi, sconcie, cozze e “rampatelle”, ma anche di funghi, di cicoria, di “rafani” ed asparagi selvatici. Per Ferdinando Cardoni, il patriarca, la famiglia era il bene più prezioso e per questo negli anni ’20, decise di acquistare un bel villino a due piani, sino ad allora di proprietà del Consolato norvegese (per intenderci, quella che ancora oggi è alle spalle della Compagnia Roma), dove poter vivere tutti insieme, anche quando i figli si fossero sposati, come era in uso nelle famiglie di rispetto. E da quel giorno, per decenni, figli, nipoti e poi anche, suoceri, zii e pronipoti, trovarono in quella grande case a due piani stile liberty: con gli affreschi sui soffitti, con tante stanze e bagno, con il giardino attorno, un ampio terrazzo ed una fornita cantina, accoglienza, disponibilità ed un rifugio per tutti. Di certo, non senza tensioni, amarezze, sacrifici da parte di chi l’abitava, ma sempre insieme, per anni ed anni, in ricordo e nel rispetto di nonno Ferdinando che, tanto si era sacrificato per regalarla alla famiglia. Nonno Alberto, ultimo arrivato crebbe senza tanti problemi, un po’ viziato da tutti; con l’avvenire assicurato dalla proficua getione della Caffetteria “da Cicio”, che per anni garantì ad ognuno un più che decoroso tenore di vita; quando gran parte della gente si accontentava di sopravvivere. Alto, magro, taglia da attore, sempre ben vestito, e non molto interessato allo studio; ripete sempre che, pur avendo potuto godere di un buon livello di istruzione – due dei suoi compagni di corso si erano laureati, mentre lui era finito nelle Ditte a lavorare come operaio – assaporò la sua giovinezza senza tanti affanni, tra i divertimenti che non mancavano ed il lavoro che doveva bastava solo per godersi la vita.
Dopo aver vissuto con leggerezza sino a quasi trenta anni, ecco arrivare il colpo di fulmine; si innamora di Lidia di Tarquinia, che operava come modellista ed esperta di taglio presso una nota sartoria cornetana, ai tempi in cui – in mancanza di manifatture industriali – questi laboratori artigianali, altamente specializzati, sostenevano la gran parte dell’abbigliamento di classe del circondario e della stessa Capitale.
Oltre che preparare vestiti su misura per signora, nella sartoria si elaboravano fantasiose acconciature ed estrosi copricapo; esperte ricamatrici praticavano ed insegnavano l’arte del ricamo; ma, si lavorava anche la pelletteria e si componevano preziose pellicce.
Era la donna della sua vita, la signorina Lidia: elegante, moderna nelle idee e nel modo di vestire, specie per quegli anni; che godendo, sia per l’affidabilità che per le sue spiccate qualità di scelta, la fiducia della proprietaria dell’atelier, era da questa incaricata di acquistare presso i più importanti negozi della Capitale, apprezzati tagli di stoffa da destinare alla sartoria presso la quale lavorava. Una dote di buon gusto e di raffinatezza, quella acquisita da Lidia, in Tarquinia che, la signora Cardoni riportò a Civitavecchia dopo sposata, seguitando ad operare come modellista esperta e sarta rifinita, a beneficio di una clientela locale che sapeva apprezzare appieno l’estro e la fantasia delle sue creazioni; contribuendo in questo modo, anche, a confortare per decenni l’economia familiare dei difficili anni del dopo – guerra. Una risorsa ed un prezioso talento, il suo, che in seguito trasmise con amore e con l’esempio delle rifinite composizioni da lei create alle due belle figlie Fernanda e Pina che, ancora oggi non più giovanissime, si distinguono tra le altre per il gusto per le cose belle e l’eleganza nel vestire. Forte, silenziosa, paziente era la signora Lidia, che io genero ricordo oltre che per l’affetto che rispettosamente ci univa, anche …. per quelle superbe tagliatelle all’uovo fatte in casa, con le “rigaie” ed il “sugo” d’altri tempi. Ne rammento ancora il profumo ed il sapore, come se sedessi ancora alla sua tavola. Sono cinquant’anni che frequento la casa del “sor Alberto”, cioè da quando mi sono fidanzato con sua figlia Giuseppina, e non posso che dire di aver appreso da lui altro che esempi di vita: onestà, lealtà e irreprensibilità. Dalle idee politiche diametralmente opposte, interminabili erano le discussioni tra noi durante le domeniche che ci riunivamo a pranzo: non eravamo d’accordo su nulla. Poi, con il tempo, le chiacchiere e le sue limpide e ferme convinzioni, mi conquistarono così profondamente che tra noi v’era una tale sintonia di pensiero, che quasi non c’era più il gusto dell’incontro e del contrasto. Un giorno, la “grande casa” che per decenni aveva raccolto i Cardoni si chiuse e fu venduta a degli estranei, per cui, spariti i fratelli, le cognate, con la moglie Lidia che da poco se n’era andata, Alberto lasciò l’abitazione dove a lungo aveva vissuto, per trasferirsi altrove. Trovò un appartamento appena costruito, abbastanza comodo per una persona, e come da suo desiderio non lontana dal centro storico: con ascensore, porta blindata, un grande balcone, riscaldamento autonomo, posto macchina, videocitofono, 2 televisori, uno in ogni stanza, provvista di ogni comodità come mai ne aveva goduto in passato.
Ripetitivi e monotoni sono i ricordi della vecchia quercia, che noi tutti: figlie, generi e nipoti, con divertimento ed ostentata sorpresa, seguitiamo ad ascoltare ogni volta che si verifica un incontro di famiglia: i fleshs più frequenti e di certo per lui più dolorosi, riguardano il periodo di quando neanche trentenne, fu colpito da una pericolosa infezione causata dall’insorgere di un ascesso, sviluppatosi in profondità del corpo, che lo costrinse per quasi due anni a lunghe degenze presso gli ospedali di Roma, a fastidiosi ed inconcludenti interventi chirurgici e a dolorose medicazioni che, nonostante il passar dei mesi non portavano alla guarigione completa. Un periodo della sua vita – come seguita a ripetere – colmo di attese, paure e speranze, che solo dopo lungo tempo furono rinfrancate dall’intervento risolutore di un luminare della chirurgia d’allora: il prof. Valdoni. Una guarigione completata definitivamente – come afferma con il suo orgoglio di civitavecchiese) anche dalle benefiche acque termali della nostra Ficoncella; di quando, lavorava come giovane operaio nella zona del “Bricchetto” presso una fabbrica di mattonelle di carbone, prodotte quale combustibile per caldaie a vapore; ma, anche di quando i frequentatori delle “case chiuse” per usufruire dei servizi delle signore che lì prestavano la loro opera, dovevano pagare 5 lire per “singola” e 10 per la “doppia”; di quando il padre, avendo accumulato un eccessivo numero di bottiglie di spumante invendute, ne ritirava un paio dalla cantina, proprio in occasione di un pasto a base di legumi;
di quando, prima del Capodanno, insieme ai suoi coetanei andava a pascolare il gallinaccio acquistato dalla madre prima di Natale, presso una collinetta nei pressi dell’attuale Mercato della frutta, ed aizzando i pennuti in mille modi li costringevano a battersi tra loro. Ormai quei ricordi appartengono al passato, ed ora nonno Alberto – accudito dalle figlie Fernanda e Pina che con dedizione si alternano nella cura della sua casa, della cucina e della sua salute – che, sino all’autunno scorso usciva a passeggiare ed a chiacchierare con i suoi “giovani” amici di Corso Centocelle, non si sente più sicuro e non ha la fantasia di uscire, ma non per questo ha perduto l’appetito e la voglia di stare in attività. Si è ritirato in casa, ma si tiene in forma giornalmente, eseguendo facili movimenti di ginnastica e passeggiando in lungo ed in largo per l’ampio balcone di casa, e seguita ad interessarsi lucidamente della vita politica e delle notizie e dei fatterelli del giorno, sintonizzandosi perennemente e esclusivamente sul 1° canale della Televisione di Stato La pressione arteriosa è a posto; le analisi rispecchiano lo stato di salute di un quarantenne e le medicine sono bandite dalla casa; la dentiera fa il suo lavoro senza tanti problemi, la vista è l’udito ancora reggono; i capelli ci sono quasi tutti, qualche liquorino nella credenza non manca mai; l’acqua di civitavecchia sa di cloro ed è meglio pasteggiare con la birra. La vita è tanto bella – afferma nonno Alberto – Perché tante ansie ? Perchè porsi una meta?
Lunga vita al Centenario.

Mauro Tisselli e
La Sua Famiglia


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