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Tutto partì dall’esposto dei cavatori inviato dalla email di De Francesco

Tutto partì dall’esposto dei cavatori inviato dalla email di De Francesco

I testimoni: «Gianni andò su tutte le furie, perché si creava il collegamento e sarebbe saltata la trattativa»

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CIVITAVECCHIA – L’esposto dell’Arel (Associazione Regionale degli Estrattori del Lazio) da cui poi partì l’indagine della Procura della Repubblica di Civitavecchia sui materiali utilizzati per la realizzazione della darsena traghetti del porto, è del 6 giugno 2013.
La denuncia, inviata al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, alla Regione Lazio, all’Autorità Portuale ed alla Procura, venne firmata dal presidente onorario dell’associazione dei cavatori, Stelio Riccardi.

«Sono giunte a questo Sindacato di categoria – scrisse Riccardi – numerose segnalazioni da parte di Imprenditori del Settore Estrattivo, regolarmente autorizzati, i quali lamentano che i materiali che vengono impiegati per l’ampliamento del Porto di Civitavecchia non provengono da cave autorizzate, come recita il capitolato di appalto, ma provengono da presunte bonifiche e da materiale proveniente da demolizioni e che comunque i suddetti materiali non sembrerebbero essere rispondenti alle specifiche fisico-tecnico-meccaniche e che non raggiungono il minimo di 26 quintali al metro cubo. Inoltre l’impiego di materiali non provenienti da cave autorizzate, comporta un grave nocumento erariale in quanto gli Imprenditori debbono versare un contributo ambientale pari a € 0,50 ai comuni per il materiale estratto “basalto”, considerando che occorreranno circa due milioni di metri cubi gli stessi comuni avranno un danno di circa un milione di Euro».

Come si apprende oggi, gli imprenditori in questione erano i fratelli Rossi, della Romanacav. Che si affidarono ad Enzo De Francesco per fare arrivare alla stampa l’esposto (in effetti risulta trasmesso a Civonline.it dalla email personale dell’ex assessore). Un particolare, questo, che secondo gli stessi Rossi ed altri testimoni  avrebbe mandato su tutte le furie Moscherini, secondo il quale «pubblicizzando la cosa sarebbe scoppiato un casino». La denuncia, secondo le desposizioni raccolte dagli inquirenti, «doveva essere una leva per trattare» con la Fincosit (una delle aziende appaltratrici delle opere marittime, ndr), per l’acquisto della pietra. Inoltre, dai verbali emerge che «Moscherini si incazzò soprattutto perché De Francesco ha mandato la querela a Monti nella sua email privata, creando un collegamento».

Un anno dopo quell’esposto, la Procura sequestrò parte del cantiere della darsena. Ad oggi, a quanto risulta, le indagini sui materiali utilizzati non hanno portato a rinvenire difformità della pietra rispetto a quanto previsto dal capitolato. Successivamente, lo scorso anno, è partita un’altra inchiesta, stavolta sui dragaggi. E proprio durante gli interrogatori di garanzia di quel filone di indagine, sono state acquisiti le dichiarazioni di Monti e Ievolella che, insieme agli ulteriori elementi e riscontri raccolti dal pm, hanno portato ad indagare su Moscherini, De Francesco e un avvocato, il cui ruolo però viene ritenuto marginale e limitato ad aver redatto la denuncia su indicazione degli altri due.


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