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Scuola, la guerra delle mense

Scuola, la guerra delle mense

Costi troppo alti, i pasti si portano da casa. I dirigenti prendono tempo

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di ANGELO PERFETTI

FIUMICINO – Può un genitore avere il diritto di preparare il pasto per il proprio figlio? La domanda fondamentale, sulla quale si sta ingaggiando una battaglia a Fiumicino è questa. Collaterali al punto nodale della questione ce ne sono altri, ugualmente molto importanti. Come la legge assurda che definisce un Isee non guardando al reddito presente ma a quelle di due anni prima, col risultato che un disoccupato attuale deve pagare come quando era occupato. Si dirà: ma è la legge. La risposta è ovvia: le leggi si cambiano, se sono inadeguate. Altro punto critico: può la scuola pubblica chiedere per un servizio mensa fino a mille euro all’anno e chiamarsi ancora “pubblica”?
Tutte domande al centro di un feroce scontro che vede il comune di Fiumicino coinvolto non in quanto Ente (la competenza delle scuole infatti è statale) ma come territorio. Certo, l’appalto per la fornitura delle mense lo ha gestito il Comune, ma non è quello messo nello specifico in discussione in questa sede.
Qui si parla, come detto all’inizio, di un diritto. Definito come tale sia dai tribunali sia dal Miur, il Ministero ce gestisce la formazione scolastica del nostri giovani.
Un problema simile, infatti, è sorto anche a Torino. Risolto dalla Corte di Appello, sentenza n.1049 del 19 aprile 2016 pubblicata in data 21 giugno, con la quale viene accertato “il diritto dei genitori di scegliere per i propri figli tra la refezione scolastica comunale onerosa e il pasto domestico”. Secondo i giudici, poi, durante il pasto non si configura una mera funzione di sorveglianza, ma “educativa”, nell’ambito della formazione dell’alunno; motivo per cui nessuno può rimanerne escluso.
Più tecnicamente, i giudici sottolineano che “il diritto all’istruzione primaria non corrisponde più solo diritto di ricevere cognizioni, ma in modo più ampio al diritto di partecipare al complessivo progetto educativo e formativo offerto dal servizio scolastico nell’ambito del tempo scuola”.
Insomma, il diritto esiste, sancito da sentenza di Corte d’Appello. E rafforzato da una circolare del Miur che il 7 ottobre ha chiarito che “per tutelare i diritti e le scelte di tutte le famiglie salvaguardando la continuità dell’erogazione dell’offerta formativa e i valori educativi e di socializzazione, il pasto domestico verrà consumato nei locali adibiti a refezione scolastica, anche attraverso l’individuazione di apposite aree dedicate”.
Nonostante queste sentenze, però, a Fiumicino si fa resistenza. Solo un istituto, il Giovan Battista Grassi, ha acconsentito al doppio binario, relegando però i bambini con il pasto domestico a mangiare frettolosamente in classe da soli. Gli altri istituti per ora hanno fatto muro. In entrambi i casi si è fuori dai canoni di legge, che prescrivono non solo che il pasto da casa sia ammissibile, ma che il bambino abbia il diritto di mangiarlo insieme agli altri.
A poco vale le preoccupazione di contaminazione. Anche su questo la Corte di Appello di Torino è stata chiara: “ad oggi non esiste alcun divieto nella normativa vigente, né nazionale, né regionale, né europea, che inibisca un uso promiscuo dei refettori scolastici tale da vietare all’interno di questi il consumo di alimenti forniti dalle ditte di ristorazione o dalle famiglie e che quindi, almeno in termini generali, ciò dovrebbe essere consentito”.
In questa settimana sono partire le lettere ufficiali di richiesta ai dirigenti scolastici da parte dei genitori intenzionati a rinunciare alla refezione onerosa. Ora la palla passa a loro ma va ricordato che, in caso di inottemperanza a regolamenti ammessi dall’ordinamento italiano e in mancanza di specifiche giustificazioni, sono essi stessi a garantire la decisione presa. Per dirla in parole povere: se un genitore venisse costretto a pagare al mensa e poi un tribunale dovesse dargli ragione, dovrebbe essere lo stesso dirigente scolastico a risarcirlo delle somme spese.
Per ora la questione è ferma ad uno scambio di mail (e ovviamnete sui social network e sui gruppi di messaggistica, facebook e whatsapp su tutti, dove si sono formati veri e propri gruppi interscolastici), ma gli avvocati sono già pronti. Si può poi discutere sulla qualità dei pasti, del servizio di ristorazione, della varietà di alimenti, del costo stesso del servizio, ma questi sono altri argomenti. Ora al centro del dibattito c’è il diritto di scelta; e su questo la battaglia è in corso.


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