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Pd: fuori i nomi dal cilindro

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di FRANCESCO SCIALACQUA

LADISPOLI – Tutto già scritto e deciso o tutto da decidere?
E’ questo quel che si chiede l’elettore democratico ladispolano dopo aver preso atto che solo oggi il partito inizierà a parlare pubblicamente delle elezioni comunali della prossima primavera. 
Un avvio decisamente tardivo considerando che da un lato le altre forze politiche hanno già mosso le loro pedine ed il Pd al momento resta a guardare. 
Un temporeggiare che potrebbe da un lato far intendere che nulla è deciso o che potrebbe invece far credere che si parte pubblicamente solo dopo aver trovato una quadra interna.
Sarebbe quasi ipocrita dire all’elettore democratico che fino ad ora all’interno del partito e della maggioranza non si è mai parlato di candidature e di elezioni comunali e che il cantiere apre solo oggi. 
Diversi sono stati infatti i giri di consultazione nei mesi scorsi. 
Un percorso che risale almeno ad un anno fa, quando per mesi si cercò di fare un rimpasto che si è rivelato molto più difficile di quanto inizialmente si pensasse. 
Un cambiamento di giunta che da un lato doveva servire a ritrovare uno slancio di fine mandato e dall’altro doveva mettere in rampa di lancio eventuali successori del sindaco Crescenzo Paliotta.
Ma quel rimpasto, che non sembra però aver dato evidenti frutti in termini di azione politica, rischia di dare un vantaggio a coloro che in questo periodo hanno mantenuto un profilo basso all’interno del partito e nello scenario ladispolano. 
Tra questi in pole position c’è Federico Ascani, che dalla sua potrebbe far valere l’eccellente risultato ottenuto alle elezioni della Città Metropolitana di Roma, anche se il diretto interessato più volte ha smentito di pensare ad una candidatura a sindaco. Ma si sa che in politica le smentite spesso sono solo mosse scaramantiche. Altro personaggio di rilievo, che potrebbe trovare un consenso più ampio di quello del Pd sarebbe Eugenio Trani, prima uscito e poi rientrato prepotentemente in amministrazione comunale. Resta poi sempre aperta la dicotomia tra Giuseppe Loddo e Marco Pierini, due candidature che però potrebbero essere troppo legate al Pd e quindi poco rappresentative di una larga coalizione. 
Due candidature che potrebbero annullarsi l’una per l’altra.
Ma il risultato referendario apre nuovi scenari, perché l’unione del Pd per il Sì ed il risultato deludente al referendum (addirittura inferiore a quello cerveterano dove il Pd è dilaniato da guerre tra bande) potrebbe mettere in buona posizione chi, all’interno dell’amministrazione, ha rivendicato il voto contrario alla riforma uscendone ampiamente vincitore.
Tra questi vi è senza dubbio l’assessora Francesca Di Girolamo, che solo ieri aveva lanciato un monito chiaro all’amministrazione, che ha commentato forse con troppa autosufficienza il risultato referendario. Se Paliotta ritiene che la durezza del voto è rivolta soprattutto all’ex premier Renzi, dall’altro è parte integrante di un disagio quotidiano che i cittadini avvertono non solo verso le amministrazioni centrali, ma anche verso le amministrazioni comunali. 
Il dato ottenuto dal Pd a Ladispoli è ben 12 punti percentuali al di sotto della media nazionale, 6 o 7 punti peggiore di comuni dove il Pd è collocato all’opposizione come Santa Marinella, Civitavecchia, Bracciano o Anguillara.
Oggi il Pd sarà chiamato a calare le carte oppure a prendere ulteriore tempo, ma nessuna delle due soluzioni potrebbe essere soddisfacente per l’elettorato. 
Da un lato la prima soluzione potrebbe sembrare l’ennesima imposizione decisa dentro le segrete stanze, dall’altro la seconda potrebbe avvantaggiare chi è già apertamente in campagna elettorale. 
Del resto se ci sono voluti 6 mesi per rimpastare la giunta quanto tempo servirà per trovare una figura da candidare a sindaco che metta tutti d’accordo?
Il partito democratico è chiamato a decidere quindi tra l’autosufficienza, con la necessità di mettere subito in pista il suo candidato, o l’apertura ad una coalizione più ampia. 
Alla luce del risultato referendario, che rimette in carreggiata il M5S dopo le secche del post elezione di Roma, la scelta sembra ormai obbligata.


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