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Vertenze portuali: l'eco diventa nazionale

Vertenze portuali: l'eco diventa nazionale

Il presidente di Fise Uniport Federico Barbera chiede l'intervento del Mit. Il centro studi marittimi "Raffaele Meloro" auspica la convocazione di un tavolo permanente: "È saltata la pace sociale"

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CIVITAVECCHIA – C’è preoccupazione, e non solo ormai a livello locale, per le possibili ripercussioni negative dovute alla decisione dell’Adsp di disporre lo scarico dei container solo ed esclusivamente alla banchina 25 dal 15 settembre prossimo. E l’eco dei malumori e delle criticità presenti all’interno dello scalo ha raggiunto livelli nazionali. 

Lo dimostra anche l’intervento di Federico Barbera, presidente Uniport – l’associazione che, all’interno di Fise, rappresenta le imprese portuali che svolgono operazioni di imbarco e sbarco, spostamento delle merci, attività accessorie alla navigazione, terminals operator e servizi portuali – che ha scritto alla Direzione Trasporto Marittimo del Ministero dei Trasporti chiedendo di intervenire  tempestivamente in relazione a quanto sta accadendo presso i porti di competenza delle Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno del Nord e Centro Settentrionale. “Con l’ordinanza dello scorso 13 luglio, l’Autorità ha imposto alle cosiddette “navi in servizio di linea” – ha spiegato – di utilizzare un unico terminal contenitori autorizzato nel porto di Civitavecchia. In questo modo si è impedito a uno storico operatore del settore su navi specializzate nel trasporto di frutta, sia essa trasportata in stiva o con contenitori frigorifero, di decidere liberamente come svolgere le attività oggetto del proprio piano industriale, favorendo un diretto competitor”. Secondo Barbera “si tratta una decisione liberticida, che dà il via libera ad un nuovo monopolio e che rischia – ha aggiunto – di avere ripercussioni occupazionali, oltre che di penalizzare operatori che in passato hanno investito sulle infrastrutture del porto. Abbiamo chiesto al Ministero dei Trasporti di acquisire dettagli su quanto sta accadendo e di intervenire per favorire omogeneità di regole a livello nazionale, piena concorrenza, investimenti e sviluppo di nuovi traffici”.

Preoccupazione anche del centro studi marittimi “Raffaele Meloro”. “Si stanno consumando una serie di situazioni che mettono seriamente a rischio l’occupazione portuale e tutto l’indotto connesso – hanno sottolineato – è saltata la “pace sociale” e con essa si stanno deteriorando equilibri faticosamente costruiti nel corso di alcuni decenni, grazie ad una sapiente concertazione che mirava a rendere il porto di Civitavecchia una punta di diamante del Mediterraneo. I toni delle parti coinvolte in contratti e concessioni che riguardano i lavoratori portuali sono estremamente accesi. Sarebbe auspicabile mettere in campo la capacità  di mediare e creare un tavolo permanente che metta di fronte i soggetti tutti: Adsp, Comune, Enel, Rtc, Compagnia portuale, Cfft e le aziende che sono legate ad essi, nonché sindacati e lavoratori. La  professionalità e la competenza di ogni componente, relativamente al proprio ambito,  garantirebbe un’analisi obiettiva dei problemi e contribuirebbe alla loro soluzione”.

Secondo il centro studi “ognuno deve riprendersi il proprio ruolo e, soprattutto, garantire le maestranze in primis, in quanto sono quelle che alla fine pagano per tutti e ciò non solo è sbagliato, ma profondamente ingiusto. Il porto non può permettersi di perdere posti di lavoro – hanno aggiunto – ma anche aziende e compagnie che operano con professionalità e hanno investito nella logistica, rispondendo alle richieste di clienti importanti che potrebbero scegliere di andarsene, dirottando importanti traffici verso altri scali. Le banane, ad esempio, furono una vera e propria conquista per il nostro porto ed oggi rischiano di cambiare destinazione. A questo addio ne seguirebbero altri non meno pesanti. Può permettersi l’economia cittadina di rinunciare a società che hanno investito milioni di euro, creando occupazione? Perché non si pretende il mantenimento di promesse che sono rimaste sulla carta, quando avrebbero dovuto creare occupazione per un comprensorio che tanto ha dato in termini di ambiente e di salute? Anche se si perdesse un solo posto di lavoro, la città dovrebbe mobilitarsi perché è solo il lavoro che rende gli uomini liberi. Non spegniamo il faro del nostro porto, diamo a Civitavecchia ciò che merita: rispetto, qualità della vita, occupazione. Non gettiamo alle ortiche – hanno concluso – la storia millenaria del nostro scalo, dimostriamo invece che Traiano scelse bene e creiamo pace sociale così da assicurare lavoro alla comunità. Il mare è il nostro tesoro, il porto ci renda orgogliosi di Civitavecchia”.


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