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Archeologia industriale: l'appello di Stefano Foschi per lo stabilimento Italcementi

Archeologia industriale: l'appello di Stefano Foschi per lo stabilimento Italcementi

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CIVITAVECCHIA – «All’interno dello stabilimento Italcementi esiste un manufatto che andrebbe salvaguardato in quanto rappresenta la più antica testimonianza di quella industrializzazione che fece conoscere Civitavecchia a livello nazionale per la sua importante cementeria, come veniva chiamata allora».

È il ricercatore di archeologia industriale Stefano Foschi a lanciare l’allarme in vista dell’imminente inizio dei lavori di messa in sicurezza e bonifica. Foschi fa riferimento ad un edificio a pianta rettangolare, di circa 500 mq, di bassa altezza realizzato nei primi anni del ‘900 adibito a centrale elettrica con 3 macchine a vapore da 1000 cavalli ciascuna di costruzioni inglese. È un classico edificio industriale realizzato in pietra, con ampie finestrature decorate con graziose cornici in cemento e tetto a doppio spiovente. 

«L’edificio è ancora li, nel suo aspetto originale, miracolosamente scampato dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale – ha aggiunto Foschi – ed oggi è arrivato ai nostri giorni in buone condizioni strutturali con la sua piccola ciminiera a pianta quadrata realizzata in mattoni. Questo edificio ha tutti i presupposti per essere salvato ed essere inserito nel futuro piano di urbanizzazione della zona come museo del lavoro a Civitavecchia, centro culturale o galleria espositiva. Auspico che questa mia segnalazione possa essere l’avvio di una concreata azione per far in modo di non perdere un altro pezzo della nostra storia».

Foschi ricorda ancora come “la cementeria di Civitavecchia ha anche altre testimonianze dell’importanza che assunse negli anni: è qui infatti che nel 1906 venne impiantato il primo forno rotante in Italia per la cattura del clinker (miscela di argilla e calcare) – ha aggiunto – un grosso tubo lungo 46 metri, affiancato negli anni a seguire da altri due forni più piccoli (nel 1915 arrrivò quello di 22 metri proveniente da Venezia spostato a Civitavecchia per metterlo al sicuro allo scoppio della Prima Guerra Mondiale); oggi, da via Amba Aradam, si scorge ancora uno di questi forni all’interno dello stabilimento, forse uno dei due più piccoli, e anche una sua piccola sezione potrebbe essere salvata. Il forno rotante rivoluzionò da li a poco l’industria del cemento ma anche quella siderurgica in generale in tutto il mondo”. 

Ed auspicando una valorizzazione del luogo, ricorda quanto è stato fatto ad Abadia San Salvatore, “dove la sua amministrazione comunale, una volta avuti i fondi per la bonifica della dismessa area industriale della Società Mercurifera Monte Amiata, situata accanto al centro abitato, la sta bonificando e mettendo in sicurezza per essere musealizzata, e qui stiamo parlando di mercurio. Altro esempio a noi vicino – ha concluso – è la centrale elettrica Montemartini a Roma, oggi sede del secondo polo museale capitolino”.

 

 


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