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Mediterraneo, squali a rischio

Mediterraneo, squali a rischio

Oltre la metà delle specie è minacciata dalla pesca

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Nell’immaginario collettivo, lo squalo rappresenta il pericolo per eccellenza, al punto che la parola viene usata oggi nel linguaggio comune con un’accezione negativa. Ma nel rapporto tra uomo e mare, il ruolo dello ‘squalo’ è tutto nostro ed è a causa nostra che oggi la specie rischia l’estinzione, soprattutto nel Mediterraneo. Oltre la metà delle 86 specie che popolano il Mare Nostrum, tra squali, razze e chimere, sono a rischio soprattutto perché catturate nelle reti a strascico o negli attrezzi da pesca utilizzati per la pesca al tonno o al pesce spada.
Si calcola che nel 2015 siano state pescate circa 14.065 tonnellate di squali e razze nel Mediterraneo. Il 10-15% dei pesci catturati dai palangari (lunghissime lenze con centinaia di ami) destinati al pesce spada e tonno sono purtroppo squali pelagici. Il Mediterraneo quindi si conferma come uno dei luoghi più pericolosi al mondo per squali e razze soprattutto per questo fenomeno di “by-catch”, la cattura accidentale con reti e palangari. Inoltre, sbarcati a terra dopo essere stati catturati, gli squali vengono spesso spacciati per pesce spada sui banchi del mercato, costituendo un pericolo anche per la nostra sicurezza alimentare. 
“Quello che non tutti sanno – spiega la presidente del Wwf Italia, Donatella Bianchi – è che essendo all’apice della catena alimentare lo squalo ha una funzione chiave nel mantenimento degli equilibri dell’ecosistema marino». La drastica diminuzione di questi predatori induce infatti cambiamenti nella popolazione delle loro prede, cambiamenti che si trasmettono lungo la catena alimentare causando le cosiddette «cascate trofiche». Uno studio condotto negli Stati Uniti ha rivelato che dal 1970 al 2005, sulla costa orientale del Paese si è verificato un rapido declino di 11 differenti specie di squalo, a cui è corrisposto l’aumento di 12 specie di predatori intermedi, un’esplosione che ha provocato l’eliminazione di una grande quantità di bivalvi, e il conseguente fallimento della florida industria basata sulla pesca della capasanta locale, Argopecten irradian.
Gli squali fanno anche bene all’economia di molte aree costiere: il turismo basato sullo shark-watching è un’industria cresciuta rapidamente negli ultimi anni. Una ricerca svolta nelle 7 aree del mondo più interessate da questa attività (Bahamas, Isole Fiji, Palau, Maldive, Australia, Moorea nella Polinesia francese, Gansbaai nel Sud Africa), ha rilevato un introito economico con cifre da capogiro, a partire dalle Bahamas, la ‘capitale’ del turismo ‘avvista-squali’, che beneficia di 113.8 milioni di dollari l’anno. La più piccola economia è in Sud-Africa e si attesta con 4,4 milioni di dollari all’anno. Gli squali, insomma, ‘fatturano’ più da vivi. Nella regione di Palau, dove l’economia del turismo per le immersioni con gli squali genera l’8% del prodotto interno lordo con un fatturato annuo di 18 milioni di dollari l’anno, 100 squali pescati e commercializzati producono al massimo, una sola volta, un fatturato di 10.800 dollari.


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