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    Cronaca
    Pubblicato il 20 Maggio 2020
    Pubblicato il 20 Maggio 2020

    La testimonianza di Cloride, uno dei medici in prima linea in questi mesi all'ospedale San Paolo Dalla trincea del reparto covid: “Non siamo eroi ma semplici persone”

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    "La sensazione era quella di partire per la guerra"

    Dalla trincea del reparto covid: “Non siamo eroi ma semplici persone”

    «Non siamo eroi, ma semplici persone che cercano di fare il proprio lavoro al meglio e sempre per il bene del paziente». Sono le parole di Cloride, uno dei medici in prima linea all’ospedale San Paolo – insieme a tutti gli operatori sanitari – nell’ex reparto covid dedicato di medicina che ora sta lentamente tornando alla normalità. Una testimonianza di questi mesi infernali che hanno cambiato il volto di Civitavecchia e del mondo. «L’inizio è stato molto duro – ha spiegato Cloride – anche se dai mezzi stampa eravamo a conoscenza della problematica. Ci siamo resi conto di dover aumentare sempre di più il livello delle protezioni. Il virus è arrivato prima che ci potessimo rendere conto a pieno, è stata una doccia fredda e all’inizio siamo rimasti spiazzati perché si è trattato di mettere in atto una nuova modalità di lavoro, un diverso modo di approcciarsi tra colleghi e con i pazienti, è stata dura». Poi il momento più difficile perché «piano piano ci siamo “decimati” e quello è stato il momento più duro perché abbiamo avuto paura per noi e per le nostre famiglie, io mi sono allontanata per non contagiare la mia mentre altri sono andati nell’albergo messo a disposizione ma molti sono rimasti e purtroppo sono stati colpiti dal virus, a volte anche i loro figli. La cosa che più ci ha aiutato – ha continuato il medico – è il fatto che il gruppo di Medicina è sempre stato molto unito e ci sono state dimostrazioni di amicizia e affetto, anche da parte di chi era a casa, poi per fortuna sono arrivati anche i nuovi colleghi a darci supporto e abbiamo ripreso la rotta ma per un attimo ci siamo sentiti come su una zattera in mezzo ad una tempesta». Una situazione in continua evoluzione, in cui nessuno sapeva da subito cosa aspettarsi. «Nei primi giorni – ha spiegato Cloride – abbiamo dovuto aggiornare i protocolli anche se grazie al primario facente funzione Gimignani ci eravamo già preparati ma lui è stato uno dei primi colpiti, ora sta meglio ma è ancora affaticato e si sta riprendendo. Chi più e chi meno, tutti stiamo tornando in sella. Qualcuno si sta ancora riprendendo, i colleghi più grandi. I primi giorni sono stati alienanti, sembrava di stare in una bolla sospesa, un nuova modalità di rapportarsi agli altri e andava tenuta alta la sicurezza con i pazienti pur continuando a seguirli al meglio. Ci siamo dovuti reinventare in un reparto di malattie infettive dalla mattina alla sera. Ci sono state anche difficoltà nell’entrare in contatto con i parenti dei pazienti anche perché c’è stato un momento in cui siamo rimasti soltanto in tre. Poi fortunatamente siamo riusciti a trovare dei punti fermi e abbiamo ripreso la rotta». Fondamentale il lavoro della «nuova collega Gherardi, infettivologa, che ci ha dato una linea da seguire. La vera forza però – ha detto il medico – l’abbiamo trovata nell’unione ed è stata la cosa più utile. Sicuramente è stata una grossa prova e spesso abbiamo pensato di non farcela, c’è stata anche la paura di ammalarci ma poi per fortuna le cose sono andate meglio, i numeri sono calati e c’è stata una maggiore tranquillità anche se l’allerta rimane massima». Da pochi giorni il reparto covid è stato chiuso ed ora è in corso la sanificazione per tornare al normale utilizzo per la Medicina generale. Una data che «stavamo aspettando da tanto e abbiamo lavorato per cercare di far tornare l’ospedale covid free. Quando abbiamo dimesso – ha sottolineato – l’ultimo paziente ci siamo sentiti rinascere, è stato emozionante: una vittoria. C’è stata poi la gioia di poter riabbracciare i colleghi da cui ci eravamo separati e la consapevolezza di poter partire di nuovo con un progetto condiviso». Ma dietro la figura professionale c’è quella umana, quella che ogni sera, dopo essersi spogliata dei dispositivi di protezione torna a casa, spesso sola e lontana dai propri affetti, dalla propria famiglia. «È stata dura – ha spiegato Cloride – la prima cosa che ho pensato è stato proteggere i miei cari, mi sono subito separata ed è stato un momento difficile. Ho una figlia di 16 anni e mi sono trovata a chiedere aiuto alle insegnanti per le lezioni online, in un certo modo l’ho affidata a loro. La sensazione era quella di partire per la guerra, salutare e non sapere quando e se si sarebbe tornati ma ora finalmente sono a casa. Ma – ha concluso – voglio ringraziare tutti gli operatori sanitari del reparto e i miei colleghi Carlo, Caterina, Cristina, Vittoria, Raffaella, Roberta, Pietro, Ester, Alessandra e non da ultimo Giancarlo perché è soprattutto grazie alla nostra unione che ce l’abbiamo fatta».

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