Il coronavirus è finito: largo a risse e aggressioni
CIVITAVECCHIA – Per i giovani l’allarme “coronavirus” è finito. La riapertura per tantissimi ragazzi rappresenta una sorta di liberazione e la paura ha fatto spazio alla voglia di recuperare ad ogni costo il divertimento mancato dei mesi scorsi. Poco importano le raccomandazioni delle autorità, che raccontano di un rischio ricaduta che è sempre dietro l’angolo. Mascherine abbassate, talvolta neppure indossate e tenute in mano quasi fossero un borsello o un cellulare, assembramenti continui nonostante i divieti e le prescrizioni. La movida è stata ancora una volta la grande sorvegliata speciale nel fine settimana, con la Polizia che ha dovuto fronteggiare numerose emergenze. A cominciare dalla calca nei pressi dei locali, seppure la chiusura anticipata (alle 23) di alcuni esercizi ha consentito agli agenti impegnati nella notte tra sabato e domenica di respirare. Pirgo percorribile e file più ordinate, ma la cattiva abitudine di passeggiare con bevande in vetro è dura a morire. I poliziotti del dottor Paolo Guiso hanno sanzionato sei persone, sorprese a girare con bottigliette per le vie del centro. Le indicazioni sono chiare: beve solo chi è seduto al tavolo del locale. Eppure la regola non passa, si perde tra i meandri della voglia del divertimento, si infila tra le smanie di tornare alla normalità il prima possibile. Diverse le pattuglie del commissariato di viale della Vittoria impegnate nell’attività di vigilanza e ancora una volta da Roma è arrivato il reparto mobile della Questura a dare ausilio alle forze dell’ordine locali. Blindato il centro cittadino, ma la massiccia presenza di divise non ha scoraggiato i soliti amanti delle nottate turbolenti. Due risse nella notte tra sabato e domenica hanno messo in allarme gli agenti. La prima a Santa Marinella, la seconda a Civitavecchia, a pochi metri dall’hotel San Giorgio. Ma non è tutto. Un giovane civitavecchiese a quanto pare sarebbe stato picchiato nei pressi di largo Plebiscito; impossibile identificare gli aggressori. E si va avanti, nella speranza che la presunzione di aver voltato le spalle al coronavirus si riveli una certezza, un dato di fatto acclarato. Disposizioni ignorate e voglia frenetica di tornare ai primi di febbraio, quando niente (o quasi) lasciava prevedere quanto accaduto nelle settimane successive. Della serie “inventatevene un’altra”, e forse in molti davvero iniziano a credere che l’incubo coronavirus sia stato solo un grande bluff, una trovata dei “piani alti”. Peccato che il monumento all’esistenza del covid19 sia rappresentato da altri civitavecchiesi: quelli in camice bianco. Quelli che per mesi e a costo di grandi sacrifici, nei reparti dell’ospedale San Paolo hanno in molti casi curato e salvato (e in altri perso) i loro pazienti proprio a causa del virus. Anche loro hanno seguito con apprensione il bollettino giornaliero che oggi segna “zero casi” e anche loro hanno vissuto combattuti tra la paura e la voglia di tornare alla normalità. Ma se le cose dovessero andare diversamente, se l’incoscienza collettiva di chi non sa fare a meno di una bevuta tra la folla (e non parliamo solo di ragazzini) dovesse prevalere e regalare una nuova violenta ondata di epidemia, medici e infermieri sarebbero pronti a infilare nuovamente il camice e a combattere in prima linea. Gli eventuali responsabili, invece, in caso di contagio sarebbero semplici pazienti. Oppure figli o nipoti di pazienti sofferenti. Vale davvero la pena sostituire il bicchiere del sabato sera con infiniti giorni attaccati a un respiratore? Occhi aperti e sale in zucca: ci si può divertire anche stando distanti.