Sepoltura di feti e residui abortivi: le ”Donne in difesa della 194” non abbassano la guardia
CIVITAVECCHIA – Alla luce dello “scandalo dei cimiteri” con il nome delle donne che hanno abortito scritto sulle croci e sui cippi, le “Donne in difesa della 194” tornano ad accendere l’attenzione sul caso cittadino, dopo aver contribuito al ritiro della delibera e del protocollo di intesa tra la Asl Rm4 e l’associazione “Difendere la vita con Maria” di qualche mese fa.
“Oggi la nostra lotta e le nostre proteste assumono il loro giusto valore – spiegano – non eravamo delle pazze estremiste ad opporci a questo provvedimento. Perché il problema, seppur gravissimo, della violazione del diritto alla riservatezza garantito dall’art. 21 della 194 che punisce penalmente chi rivela il nome della donna che abortisce, non è solo questo. Il problema non è solo la violazione della riservatezza e il mancato consenso dato dalla donna, il problema è che non devono esistere questi cimiteri: non c’è nessuna legge che li consente. La donna che desidera seppellire i resti del suo raschiamento o il feto di una gravidanza non portata a termine, lo può seppellire personalmente e privatamente. Altrimenti, come dice la legge, per le gestazioni sotto le 20 settimane la ASL provvede all’incenerimento e per i feti sopra le 20 settimane il Comune provvede al seppellimento in forma anonima. Immaginiamo un letto d’ospedale dove la donna ha appena interrotto una gravidanza, volontariamente o spontaneamente, o perduto un feto oltre le 20 settimane di gestazione. Chi la informa , chi le chiede il consenso di cedere i suoi resti biologici ad una associazione privata ? Sono gli stessi membri dell’ associazione che si aggirano tra le corsie in attesa di prendere possesso della “materia prima”? Chi li ha informati che c’erano donne che erano sottoposte a intervento? In questo caso gravissime sarebbero le responsabilità della dirigenza sanitaria e del direttore dell’ospedale. Se invece fosse il personale di corsia a informare le donne dell’esistenza di un’associazione che vuole i suoi resti abortivi, a che titolo lo farebbe? E le Rsu aziendali non hanno niente da dire su questo? Il dubbio che abbiamo – hanno aggiunto – è se sia possibile che funzionari pubblici abbiano così scarsa conoscenza della legge da poter incorrere anche in sanzioni penali, come è il caso dei cimiteri con i nomi delle donne. Piuttosto pensiamo che la pressione di associazioni confessionali antiabortiste, la complicità interna alle istituzioni dello Stato, la “distrazione” dei partiti progressisti, il distogliere lo sguardo delle Rsu sindacali d’azienda, l’opinione pubblica assuefatta all’aggressività di forze reazionarie, laiche e religiose, con addentellati internazionali, abbiano potuto permettere questo medioevo: l’ apporre il marchio dell’infamia sulla donna, lo stigma della sua corruzione morale, suscitare il senso di colpa per l’abbandono di quello che essi considerano vita cosciente fin dal concepimento e che il legislatore ha stabilito diversamente. A Civitavecchia abbiamo combattuto in giusta battaglia e abbiamo costretto la Asl a ritirare delibera e Protocollo d’intesa”. Con l’associazione che attende ancora una risposta da parte del Comune.