MEMORIA Nel suo libro “Per questo ho vissuto” il racconto dell’orrore nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau La storia di Sami Modiano, testimone della Shoah
Francesca Gallicchio*
All’età di otto anni, Sami Modiano venne espulso dalla scuola. Non era un cattivo studente, non era maleducato, non aveva alcuna carenza: era ebreo. Le leggi razziali lo rendevano “diverso” dai bambini con i quali fino ad allora era cresciuto, con i quali aveva giocato e, nel ’44, permisero ai nazisti la deportazione di tutta la comunità ebraica di Rodi. Il piccolo Sami, suo papà e la sorella Lucia partirono il 18 luglio ed arrivarono alla “Rampa della morte” di Birkenau il 16 agosto, dopo uno straziante mese di viaggio durante il quale Sami vide morire davanti gli occhi, tra il fetore, la disperazione e il terrore del non sapere, conoscenti ed amici. Al di là della “Rampa della morte”, i deportati erano in procinto di perdere tutto: le forze, la vita, la speranza, la famiglia, il nome. B7456. Ecco cosa diventò il piccolo Sami, così come i suoi compagni, all’interno del lager: un numero. Ma nel luogo dove l’umanità cessa di esistere, l’amore resiste e prospera come un fiore che nasce dallo spoglio cemento. Sami rivede la sorella Lucia dopo quasi un mese dall’arrivo al lager, dallo smistamento uomo-donna, lavori forzati-esecuzione immediata. Erano venti metri di distanza e del filo spinato a separarlo da lei che, rasata a zero e magrissima, lo salutò amorevolmente con un cenno della mano. «Avevo messo da parte la mia razione di pane e l’avevo avvolta in un panno – ricorda Sami – vidi Lucia e le feci capire a gesti che le avrei lanciato qualcosa. Feci volare il pane oltre il filo spinato e lei lo raccolse. Non appena vide di che si trattava, fece come per abbracciarmi. Poi tirò fuori anche lei un pezzo di pane, lo avvolse nel panno insieme al mio e mi rilanciò il fagotto. Aveva avuto la mia stessa idea. Anche in quelle condizioni drammatiche, volle continuare ad essermi sorella e madre. In quel momento capii fino in fondo, come forse mai avevo fatto prima, l’amore che ci legava». Dopo solo pochi giorni, sia la sorella che il padre di Sami erano andati via per sempre. Come molti dei sopravvisuti, anche Sami Modiano rimane per anni in silenzio con la paura di non essere creduto, di esser preso per pazzo: è infatti nel 2005, dopo tanta insistenza da parte dei suoi cari, che torna per la prima volta, dopo 60 anni, ad Auschwitz-Birkenau per la sua prima esperienza come testimone. È in quel momento che le lacrime negli occhi di chi lo ascolta gli concedono la risposta al suo costante chiedersi “Perchè io?”. Per testimoniare, per raccontare, per educare i ragazzi alla verità, per far sì che nulla del genere possa mai più accadere. Da questo il titolo del suo libro “Per questo ho vissuto”.
*5AS Galilei