COMMENTO AL VANGELO della domenica
di Don Ivan Leto
Nel Vangelo di questa xxv Domenica del Tempo Ordinario, il discorso di Gesù diventa drammatico. Dopo aver annunciato per la seconda volta la sua passione, giunti a Cafarnao, entrati in casa, Gesù chiede ai discepoli di cosa stessero discutendo durante il viaggio, ma non riceve alcuna risposta. Lungo il cammino avevano discusso su chi fosse il più grande, e soltanto davanti alla domanda posta da Gesù si rendono conto di quanto fosse inutile l’oggetto della loro discussione. Si sono persi in questioni banali, ancora attaccati al loro modo umano di vedere la realtà. Il silenzio che segue la domanda di Gesù è emblematico di tutto ciò: i discepoli sono stati colti in flagrante e, proprio come fanno i bambini sorpresi a fare qualcosa che non avrebbero dovuto fare, non hanno il coraggio di rispondere. Eppure, Gesù non si arrabbia, anzi sfrutta l’occasione per essere ancora una volta un Maestro buono. E afferma: “Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e servitore di tutti”. Poi, prende un bambino dicendo: “Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato”. Gesù non viveva in una società sentimentale, tutt’altro. Ai suoi tempi, non era tenero abbracciare un bambino: vigeva quella mentalità intransigente che valeva anche per i nostri nonni, secondo cui i bambini si baciavano nel sonno e altre sciocchezze simili, che non hanno fatto altro che creare generazioni di persone incapaci di dimostrare affetto. Il bambino era quanto di più inutile esisteva nella società. Ma Gesù, proprio in una società cosi severa e intransigente, afferma la bellezza dell’accoglienza. Gesù ci chiede di accogliere la sua Parola come si accoglie un bambino, come si accoglie qualcosa che sembra fragile, con la certezza però che diverrà qualcosa di meraviglioso. Don Ivan Leto.