Convegno ricco di spunti e riflessioni a Tarquinia grazie al contributo di professionisti e del Lions club Violenza di genere, serve più tutela per chi decide di denunciare
TARQUINIA – Numeri che invitano alla riflessione sulla necessità di destrutturare stereotipi ancora troppo diffusi, a cominciare dalle giovani generazioni. Dati che parlano di istituzioni ancora inadeguate a garantire sicurezza, protezione e affidabilità. Metodi, come quelli informatici, che oggi più che mai impongono figure professionali sempre più qualificate, per esplorare nella giusta maniera le vaste potenzialità del digitale, sempre più spesso strumento per commettere reati ma anche fonte di prova. Più approfondite indagini sulla potenziale pericolosità del carnefice, ma anche aiuti concreti di prossimità come quelli forniti dai centri di ascolto.
Sono queste alcune delle urgenze emerse per far fronte ai casi di violenza di genere, purtroppo fenomeno in aumento nel nostro Paese, anche a causa della pandemia. L’occasione per parlare di questi aspetti è stato il convegno che si è svolto mercoledì pomeriggio a Tarquinia. L’evento, organizzato dal Lions club, si è svolto presso il teatro comunale Rossella Falk di fronte ad una folta platea composta anche da tanti ragazzi. Oltre due ore di dibattito sul tema, con relatori di primo piano che hanno illustrato i tanti aspetti legati alla violenza di genere, affrontati con sensibilità e competenza.
Il convegno si è aperto con il monologo di Valentina Paterna (liberamente ispirato ad un testo di Paola Cortellesi) che ha rappresentato la storia di una bambina, poi ragazza, poi donna, uccisa dal marito a seguito dell’ennesimo smisurato maltrattamento. Una storia come purtroppo tante, che ha aperto il dibattito tra riflessioni e interrogativi. A moderare il convegno, l’avvocato e presidente del Lions club di Tarquinia Paolo Pirani che ha introdotto i relatori: Alessandra Viero, giornalista Mediaset e co-conduttrice della trasmissione Quarto grado, Tonia Bardellino, psicologa e sociologa criminologa, Paolo Reale, consulente di informatica forense, Valerio De Gioia, giudice della Prima Sezione Penale del Tribunale di Roma e Antonio Mancini, commissario della Polizia di Stato.
Pirani ha illustrato gli obiettivi della conferenza che, oltre a contribuire ad analizzare il tema della violenza di genere nei suoi vari aspetti, giornalistici, giuridici e psicosociali, è voluta essere anche una importante occasione per sostenere il centro antiviolenza realizzato alla Cittadella di Semi di pace nell’ambito del progetto Rondini. Un centro di accoglienza per le vittime di violenza di genere, e non solo, che ha raccolto la richiesta di aiuto di molte persone.
A rappresentare il Comune di Tarquinia, il sindaco Alessandro Giulivi, che ha rimarcato l’importanza di dibattiti a tutti i livelli sulla violenza di genere, “un tema – ha detto il primo cittadino – sempre più attuale e frequente, basti pensare a quanto accaduto a Vetralla nei giorni scorsi. I nostri genitori ci hanno insegnato che le donne non si toccano neanche con un fiore, da qui, da questi valori indiscussi, dobbiamo ripartire in un processo di rieducazione sociale”.
IL CENTRO ANTIVIOLENZA E GLI STEREOTIPI CHE PREOCCUPANO La parola subito all’avvocato Cinzia Rossi, responsabile del progetto Rondini e parte del team che sta portando avanti progetti nelle scuole come pure il centro di ascolto psicologico e di assistenza legale, sia per le vittime di violenza di genere, sia di bullismo e cyberbullismo, sia del gioco d’azzardo patologico. “Dal 2019 ci stiamo occupando di queste problematiche grazie al progetto finanziato dalla Regione Lazio – ha spiegato Cinzia Rossi – Abbiamo accolto molte donne, in particolare vittime di violenza domestica. Noi cerchiamo di supportare gratuitamente le persone che si rivolgono al nostro centro, offrendo un supporto concreto su come affrontare la situazione. Aiutando le donne vittime di violenza ad uscire fuori dal tunnel e soprattutto a denunciare”. La dottoressa Raffaele, a seguire, ha illustrato il progetto Rondini attivato all’interno delle scuole, realizzato attraverso un dialogo attivo con i ragazzi. “La violenza non è un fatto privato ma è una responsabilità collettiva; e partire già dalla giovane età nel cambiare un paradigma socio-culturale che alimenta e mantiene comportamenti violenti, è fondamentale”. La dottoressa Gamba ha illustrato i dati scientifici raccolti indagando il territorio, per capire come i tre fenomeni di emergenza sociale (violenza di genere, bullismo e cyberbullismo, e gioco d’azzardo patologico) si muovono sul territorio. Nell’indagine sono state coinvolte le scuole (Cardarelli di Tarquinia, San Benedetto di Tarquinia, Santa Rosa di Viterbo). Hanno partecipato 504 ragazzi nell’anno scolastico 2020-2021 e 2021-2022. La ricerca è stata svolta con dei questionari costruiti ad hoc e supervisionati dalla “Cura del tempo”, l’associazione che si occupa di ricerca scientifica nel campo psicologico. Per quanto riguarda i reati di genere, hanno partecipato 144 ragazzi tra i 18 e i 21 anni. Diversi gli stereotipi emersi sui quali urge lavorare. Stereotipi cioè che devono essere destrutturati, richiedendo un lavoro specifico, nelle scuole e in famiglia, per demolire queste convinzioni. Il 42,1% dice infatti di essere d’accordo sul fatto che “E’ soprattutto l’uomo che deve provvedere alle necessità economiche della famiglia”. Il 42% ha anche detto che “gli uomini sono meno adatti ad occuparsi alla faccende domestiche”. Dati ancora più allarmanti sono quelli legati agli stereotipi sulla violenza: il 64,4% del campione ha ritenuto che “le donne che non vogliono un rapporto sessuale riescono ad evitarlo” e il 33,6% ritiene che “spesso le accuse di violenza sessuale sono false”. Ancora una volta un dato importante che racconta che i ragazzi pensano che le donne possano mentire per colpire un uomo. Un dato preoccupate perché le donne hanno paura di andare a denunciare, e hanno paura di non essere credute. Per quanto riguarda gli strumenti di tutela: i ragazzi riconoscono come strumenti validi la denuncia e il centro antiviolenza sui territori, ma il dato che stupisce è che non conoscono il 1522 che è il numero antiviolenza e anti stalking attivo h24 su tutto il territorio nazionale. E anche su questo il progetto contribuisce ad informare. Interessanti anche i dati sul cyber bullismo: l’indagine ha coinvolto 217 ragazzi tra i 18 e i 21 anni: le vittime, che si riconoscono tali, sono l’11,6% del campione; inoltre chiedono aiuto per il 50%, quindi in primis, alla mamma e poi per il 40,9% ad un’amica o amico. I bulli che lo dichiarano sono l’8,8%, mentre tra le forme adottate spicca l’esclusione dai contesti social per il 19,1%. Il gioco d’azzardo patologico è stato indagato su 143 ragazzi ed hanno dichiarato di averlo tre di loro. Un dato che, anche se basso, è certamente allarmante considerata anche l’età. Tutti stereotipi su un campione di giovani che preoccupano.
FEMMINICIDIO, CASI IN AUMENTO E TRATTI COMUNI “A Quarto grado spesso si parla di femminicidi – ha detto la giornalista Alessandra Viero – vorrei ripartire da un numero ma anche andare oltre gli stereotipi. Il rapporto Eures sui femminicidi ci dice che sono 109 le donne uccise nei primi undici mesi dell’anno, oltre il 5% in più rispetto allo scorso anno. Perlopiù vengono utilizzate armi da taglio e i casi si consumano principalmente all’interno della coppia. Ci sono dei tratti comuni: gelosia, possesso, controllo ossessivo. Tratti specifici di quando cioè la donna diventa un oggetto”. Ertamente ci sono dei segnali premonitori – ha spiegato Alessandra Viero – tanti femminicidi sono purtroppo delle morti annunciate, ma a volte denunciare soltanto non basta. Quindi dobbiamo fare qualcosa in più e dare un supporto pratico a chi ha il coraggio di denunciare, perché proprio in questi casi accadono violenze. Serve un sostegno concreto alle vittime, dopo la denuncia”
LA POCA FIDUCIA NELLE ISTITUZIONI: CODICE ROSSO E BRACCIALETTO ELETTRONICO NON BASTANO Valerio De Gioia, giudice della Prima sezione penale del tribunale di Roma ha proprio messo in evidenza questo aspetto: “Quando c’è il femminicidio spesso si scopre che la donna non ha denunciato. Ma perché non denuncia? Solo una su sette vittime di femminicidio ha denunciato condotte già presentate. E qui c’è una responsabilità delle istituzioni perché vuol dire che la vittima non ha fiducia nelle istituzioni. Ora con il codice rosso hanno aggiunto il braccialetto elettronico, sistema di controllo a distanza, ma neanche quello pare essere sufficiente. La donna non denuncia perché è scoraggiata. Ci sono dinamiche affettive, sociali, culturali di dipendenza economica alla base. Dinamiche strazianti che poi si verificano successivamente. Ad esempio, se non c’è una misura cautelare, la persona offesa arriva davanti al giudice dopo 3/4/5 anni e già in questo il sistema dimostra di aver perso, già lì c’è una sconfitta. Le vittime poi vengono e iniziano a ritrattare per sfiducia nelle istituzioni. E questa è la più grave colpa che hanno le istituzioni. Molti poi dicono che le pene sono troppo basse: ma in verità non è così, non hanno un effetto disincentivante perché il carnefice che decide un simile gesto non ha paura di niente tanto che spesso in molti casi si toglie la vita. Non è calato il femminicidio, perché chi ammazza poi si ammazza a sua volta, nel 34% dei casi e quindi anche con l’ergastolo non si andrà ad incidere sulle sue decisioni del carnefice.
L’ASPETTO PSICOLOGICO “Ci sono automatismi sui quali bisogna lavorare – ha sottolineato Tonia Bardellino – Abbiamo bisogno anche di soldi per far sì che anche i centri antiviolenza che possano lavorare, perché ci sono addetti ai lavori che accolgono. Spesso intervengono matrici psicologiche, chi denuncia spesso si sente anche la causa dei reati commessi dal compagno. C’è una conflittualità presente in tante relazioni, che genera una violenza trasversale, fluida, con pochi ancoraggi e pochi punti di riferimento. Il problema reale è proprio quando vengono spente le luci e le vittime non sanno come affrontare la situazione e ciò spesso sfocia in un processo di colpevolizzazione o di negazione di quello accade”.
IL BODY SHAMING E IL RICHIAMO DELLA CORTE EUROPEA Chi denuncia la violenza sessuale affronta già una situazione complessa e deve anche fare i conti con una sorta di giudizio morale. Il fenomeno di body shaming, ad esempio, porta a biasimare la vittima. “La vittimizzazione secondaria – ha spiegato il giudice De Gioia – è qualcosa sulla quale il legislatore non è ancora intervenuto. L’Italia continuamente è condannata dalla Corte Europea. Siamo i numeri uno in Europa, sulla durata dei processi. Ad aprile siamo stati condannati perché in una sentenza della Corte d’Appello di Firenze sono stati utilizzati termini legati al look. La Corte europea con l’utilizzo di quel linguaggio ha ritenuto lesa la dignità della persona. Ecco, anche su questo dobbiamo lavorare, perché poi è certo che le donne non denunciano”.
LA STRUMENTALIZZAZIONE DELLE DENUNCE In alcuni casi si verifica anche la strumentalizzazione delle denunce, ha sottolineato l’avvocato Pirani, denunce che poi si accerta essere infondate, ma rappresentate per altri scopi come in cause civili di separazione o per l’affidamento dei figli. “La vera vittima – ha sottolineato il giudice De Gioia – in verità non denuncia, non viene in udienza o tende a ridimensionare i fatti”.
L’INFORMATICA PER ACCERTARE LA VERITA’ O IL FALSO L’esperto di informatica forense, ingegner Paolo Reale, spesso ospite nella trasmissione Quarto Grado ha spiegato quanto “l’informatica forense è sicuramente qualcosa con cui ci si confronta sempre più spesso nei tribunali, sia per ricostruire i fatti, ma è anche in quanto strumento con cui si commette un reato, pensiamo al cyberbullismo. Ci sono tante sfaccettature che si possono dare all’informatica. I ragazzi, cosiddetti nativi digitali, sanno usare perfettamente gli strumenti digitali come cellulari, computer, internet. Molto spesso però ne disconoscono le conseguenze. Anche noi tecnici facciamo fatica a comprendere certe dinamiche e gli effetti ad essi connessi, come i reati commessi con gli strumenti digitali: come truffe amorose o cyberbullismo. Nel mondo digitale in verità siamo inconsapevoli di quello che può succedere: il contenuto di quello che condividiamo può essere usato già com’è per danneggiarci, ma addirittura può essere stravolto e mutato. Lo strumento digitale inoltre dà la falsa percezione a chi lo usa di essere in qualche modo tutelati, non per niente esiste quello che viene definito il “leone da tastiera”, per identificare quel soggetto che altrimenti non agirebbe mai in quel modo se fosse nel mondo reale. Questa falsa percezione di essere protetti induce le persone ad agire senza limiti e quindi commettere reati. Se ciò lo uniamo alla velocità di propagazione del messaggio in rete e alla memoria di Internet che è devastante, una memoria sempre più difficile da cancellare, capiamo quanto possono essere lesivi determinati comportamenti. Pensiamo al caso di Tiziana Cantone, devastante, video a sfondo sessuale diffusi dal fidanzato, poi dagli amici e dagli amici degli amici. Nonostante le sentenze ancora quei filmati si trovano in circolazione”. “Parlando di messaggi sui cellulari, bisogna tenere conto che gli strumenti che oggi consentono di scambiare messaggi e informazioni evolvono continuamente in base ad una sempre maggiore richiesta di garanzia della privacy. Oggi gli strumenti sono stati modificati nel senso di garantire una maggiore sicurezza nella cancellazione. Il tentativo di recupero di quei dati si fa, laddove devono diventare delle prove, ma non sempre è possibile”. “La prova scientifica informatica è molto importante per un giudice – ha sottolineato De Gioia – Sia per accertare la verità sia per accertare il falso che spesso si introduce nel processo penale”.
AMMONIMENTO E ANALISI DELLA POTENZIALE PERICOLOSITA’ DEL DENUNCIATO Il commissario Antonio Mancini ha illustrato l’approccio della Polizia giudiziaria di fronte ad una denuncia di violenza o maltrattamenti, illustrando le numerose difficoltà che in primis incontrano gli operatori di pubblica sicurezza. Molto spesso anche di fronte ad evidenze come quelle di referti medici che raccontano di violenze importanti, per le quali si procede d’ufficio, la vittima è reticente a raccontare la storia, anche per paura delle conseguenze. Mancini ha anche sottolineato l’efficacia dell’ammonimento nei confronti dell’aggressore che attraverso questo provvedimento viene messo a nudo: “L’ammonimento spesso ha un grande effetto sull’autore, avviene prima della denuncia. Una volta che hai messo a nudo l’aggressore molte volte si ferma. Al livello di misura, invece, è fondamentale un’approfondita analisi sull’autore per verificare la sua potenziale pericolosità”.
IL CONCETTO DI PROSSIMITA’ In chiusura il presidente Luca Bondi di Semi di pace, ha rimarcato i numerosi spunti di riflessione, importanti e concreti. Bondi ha ringraziato la rete delle scuole che si è inserita in nel progetto Rondini. “Noi dobbiamo essere una risposta di prossimità, quando le luci saranno spente. L’attenzione delle istituzioni dovrà essere altissima. Dobbiamo continuare ad operare nel territorio e per fare questo occorrono aiuti concreti anche e soprattutto economici. La Regione ci ha permesso di lavorare e il Comune di Tarquinia e Montalto sono pronti a sostenere questo progetto”. Bondi ha chiuso il convegno con una testimonianza, quella di una ragazza poi diventata donna che ha vissuto i drammi della violenza. Una testimonianza che dimostra quanto il concetto di prossimità abbia reso possibile questo racconto e questa speranza: “Ho vissuto come se non avessi mai conosciuto cosa potesse significare vivere, sono diventata grande senza sentire attorno a me il calore di una famiglia di una carezza o di un abbraccio da parte di un padre o di una madre, il fango che poco a poco ha ricoperto la mia esistenza è diventato come il vestito di ogni giorno, poi è arrivato dentro la mia anima e credevo che nulla più potesse illuminarla. Ho incontrato gente senza cuore, senza sorriso, senza umanità: mi hanno fatto male. Proprio quando pensavo che non ci sarebbe stata un’alternativa, un raggio di sole potente mi ha toccata, mi sono sentita per la prima volta accarezzata da questa luce, è stato come essere avvolta dall’essenza della tenerezza, ero come incredula, confusa; ho capito che potevo anche io, donna trasformata in strumento di piacere comprato, ritornare a respirare, a sentirmi viva. Ho incontrato degli angeli, esistono, mi ci sono aggrappata o meglio mi hanno preso in braccio, mi hanno fatto sentire che Dio non si è vergognato di me, perché è stato proprio lui a mandarmeli, sto raccogliendo i pezzi di tanti anni, ma ora non sono sola e sorrido”.
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