Shamisa Hassani: l’arte che colpisce più della guerra
Sofia Palmieri*
Se in strada sono decine le donne attiviste delle società civili afgane a manifestare a Kabul per chiedere alla comunità internazionale e ai talebani di rispettare i loro diritti politici, economici e sociali, sul web è la street artist Shamisa Hassani a farsi paladina denunciando le condizioni disumane dell’universo femminile nel paese mediorientale. Nata in Iran nel 1988, i suoi genitori sono emigrati a causa della guerra e ha studiato storia dell’arte all’Università di Kabul per poi diventare professoressa di scultura. Dal 2010 si è dedicata all’arte urbana e ormai la capitale afgana è colma dei suoi toccanti graffiti a sostegno delle donne. Avvolte nello chador tradizionale le donne di Shamisa non hanno la bocca perché non hanno possibilità di parola (l’Afghanistan ha uno dei più alti tassi di analfabetismo), hanno gli occhi bassi poiché non fronteggiano l’uomo, ma i loro pensieri e strumenti musicali tenuti al petto trasmettono l’energia necessaria per la conquista della propria posizione e libertà. Tantissime le condivisioni su Instagram, Facebook e Twitter da parte di utenti di tutto il mondo; “Voglio rendere l’Afghanistan famoso per la sua arte non per la sua guerra” riportano in un’intervista le sue parole “se coloro i brutti ricordi della guerra la cancello dalla mente delle persone”.Una delle sue ultime opere ritrae una ragazza in ginocchio al cospetto di un uomo armato, chiaro riferimento alla conquista talebana dello scorso luglio; accanto a lei un vaso caduto ma non rotto. Che ci sia la possibilità di raccoglierlo? Vari esperti hanno attribuito la metafora sia alla ritirata delle truppe americane, causa dell’invasione, sia alla “caduta” dei diritti che fornivano alle donne una posizione lavorativa nella comunità. Nonostante le continue minacce online e da parte dei suoi connazionali più integralisti, l’artista non ha mai smesso di far sognare grazie al contributo dell’associazione ROSHT(crescita e sviluppo) da lei fondata a far trasmettere lo scorso novembre l’arte afghana nel mondo. Non poteva uscire di casa all’alba per paura delle mine antiuomo, non poteva uscire la notte perché donna ma nulla l’ha fermata nel dar luce e colore tra quel che rimaneva di abitazioni bombardate, destreggiandosi in una pace mai totalmente arrivata dove la sopravvivenza quotidiana non è garantita.
*5A LSU Guglielmotti