Alessandro Ognibene era stato risucchiato da un Chinook nel 2019 durante un’esercitazione Kitesurfer ferito, il processo slitta
LADISPOLI – Ferito e scaraventato quasi 4 anni fa con il suo kite mentre transitava un elicottero interforze in un addestramento della Nato. Alessandro Ognibene, lo sportivo romano che rischiò la vita nella zona di Torre Flavia, attende ancora che parta il processo presso il Giudice di pace di Civitavecchia. Udienza che per un motivo o per un altro è sempre saltata finora, e anche il 26 maggio, giorno stabilito per l’ennesima volta, non si farà per via di uno sciopero delle Camere penali in diversi tribunali del Lazio. L’emergenza sanitaria, il pensionamento di un giudice, l’ufficio non in grado tempestivamente di affidare l’incartamento a un nuovo giudice, per arrivare allo sciopero. «Speriamo che venga convocata una data al più presto attendiamo da tanto, troppo tempo», è il commento di Giacomo Tranfo, legale di Ognibene. Alessandro Ognibene, il 3 ottobre 2018, venne risucchiato dal bipala del potente Chinook che proprio in quel momento stava transitando sulla costa ladispolana per un addestramento interforze organizzato dalla Nato.
Rischiò la vita quel pomeriggio in cui decise di sfidare il mare a Torre Flavia. La giornata si mise male per il kitesurfer non per una tromba d’aria ma per un vortice provocato dal velivolo che lo fece sbalzare per oltre 10 metri scaraventandolo sulla sabbia. Scene a cui non si sottrassero diversi testimoni sulla spiaggia pronti ancora oggi a raccontare tutto, anche se non di fronte a dei giudici togati.
Quell’incidente ad Ognibene provocò un forte trauma cranico e lesioni in tutto il corpo causandogli danni permanenti nonostante i 90 giorni di prognosi. Venne trasportato d’urgenza in eliambulanza al Policlinico Gemelli dove restò ricoverato per parecchie settimane. Gli imputati del processo sono tre: un graduato della Marina, a capo dell’addestramento che ogni giorno terminava nell’aeroporto di Furbara, a Cerveteri e che, secondo l’accusa del magistrato, non avrebbe garantito la sicurezza dell’attività, né richiesto una interdizione sul litorale e dello specchio d’acqua circostante. Chiamati a difendersi anche due piloti dell’Esercito. Erano stati rinviati a giudizio due anni fa. La difesa, al contrario, ha sempre puntato sulla tesi del «colpo di vento» piuttosto che sul passaggio ravvicinato di un elicottero.
Persino la Nato avviò un’indagine, oltre al ministero della Difesa, mentre lo stato di Malta – con le parole pronunciate pubblicamente dell’ambasciatrice, Vanessa Fraizer – sostenne che non si trattò di un elicottero maltese.
Gli inquirenti di Civitavecchia, dopo le relazioni conclusive della Capitaneria di porto di Ladispoli a capo delle indagini, esclusero sin da subito il reato di omissione di soccorso poiché sull’elicottero coinvolto nell’incidente di Torre Flavia non venne trovata né la scatola nera né la riproduzione verbale della radio. Le esercitazioni tra l’altro durarono diversi giorni.
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