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    Cronaca
    Pubblicato il 6 Febbraio 2023
    Pubblicato il 6 Febbraio 2023

    «Lavoro povero nella Tuscia»

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    «Il salario medio annuo nel settore privato è di poco più di 16mila euro»

    «Lavoro povero nella Tuscia»

    La Uil lancia il grido d’allarme su retribuzioni e disparità di genere

    Record negativo per la Tuscia in fatto di salari. Nel dossier realizzato dalla Uil del Lazio e dall’Istituto di Ricerca Eures, il Viterbese con 16.409 euro è in penultima posizione per retribuzione media annua dei lavoratori del settore privato escluso quello agricolo: 16.409 euro. Un importo che scende di ulteriori 7.312 euro per le lavoratrici. Bastano solo due numeri per rappresentare le criticità delle dipendenti e dei dipendenti occupati nel settore privato della Tuscia nel 2021. Lo studio analizza il decennio 2011-2021. I numeri compongono un puzzle impietoso che dimostra quanto la precarizzazione del lavoro, il gender pay-gap e i bassi salari stiano progressivamente impoverendo la condizione dei lavoratori e delle famiglie. «Andando con ordine – spiega Giancarlo Turchetti, segretario generale della Uil di Viterbo e dell’Alto Lazio – il salario medio del 2021 del settore privato si è attestato a un livello ancora inferiore rispetto a quello del 2019 (quando era stato di 16.530) ed è ancora molto distante dalla media regionale di 21.942 euro. Se le retribuzioni medie annue lorde degli uomini sono state di 19.845 euro, quelle delle donne si sono fermate a 12.533 euro, con uno scarto di genere di 7.312 euro».

    Le disuguaglianze sono evidenti anche quando il dossier affronta le fasce di età. Il valore minimo dei salari si è registrato tra gli under 25 (con 7.093 euro nel 2021) e ha raggiunto il livello massimo di 21.730 euro nella fascia di età compresa tra i 55 e i 64 anni. Sono i lavoratori che rivestono qualifiche medio basse ad aver mostrato le maggiori difficoltà: rispetto al 2011 le retribuzioni degli impiegati sono crollate dell’11,2% in termini reali (dato che trova peraltro conferma anche in valori nominali, con un decremento del 2,1% e una perdita di oltre 340 euro in termini assoluti) e quelle degli operai con una riduzione del 7,9%. Molto più contenute, invece, le perdite subìte dai quadri (- 2% la variazione reale del periodo 2011-2021) e, soprattutto, dai dirigenti (- 0,7%). Il confronto tra i livelli retributivi di operai e dirigenti mostra come nel 2021 i primi abbiano ottenuto compensi inferiori di quasi 8 volte rispetto ai secondi, un valore in crescita rispetto al 2011: nel corso del decennio i salari degli operai sono aumentati, in termini nominali, di 220 euro, quelle dei dirigenti, invece, di circa 10 mila euro.

    «E’ chiaro che disparità così evidenti – dice Turchetti – colpa anche del progressivo spostamento del lavoro verso attività terziarie, caratterizzate tradizionalmente da livelli retributivi più bassi, impoverisce la vita di migliaia di persone. Lungi dal voler demonizzare chi ha retribuzioni medie più elevate, la nostra attenzione si concentra sull’aumento dei salari della stragrande maggioranza della popolazione, che ormai è un imperativo non più rinviabile». Dal dossier, infatti, emerge che nel terziario le retribuzioni si sono attestate a 14.701 euro, a fronte dei 20.958 euro del comparto industriale. L’impoverimento dei lavoratori, infine, è determinato da una precarizzazione del lavoro che non si arresta. I dati del dossier sono chiari: nella Tuscia dal 2011 al 2021 la percentuale dei lavoratori inquadrati con contratti a tempo indeterminato è passata dal 77,1 al 71,3 per cento, che in termini assoluti significa 440 lavoratori in meno. Mentre i lavoratori a tempo determinato sono cresciuti di 2.493 unità (rappresentavano il 22,4 per cento degli occupati nel 2011 sono saliti al 25,6 per cento nel 2021). E infine ci sono gli stagionali: rappresentavano una percentuale irrisoria nel 2011 (0,4 per cento), sono cresciuti fino al 3,1 per cento nel 2021, in valori assoluti si tratta di1.454 lavoratori. «Se la retribuzione media annua di un tempo indeterminato è stata di oltre 19mila euro, quella di un tempo determinato di poco più di ottomila euro e di uno stagionale di 4.688 euro – conclude il sindacalista – è fin troppo chiaro che la tendenza a rendere il lavoro sempre più povero è un fenomeno che va contrastato e poi eliminato».

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